Potrei passare tutta la giornata ad impilare offese, insulti, parolacce e improperi diretti ad “Away“, senza ombra di dubbio fra le più cialtronesche serie di fantascienza mai apparse sul piccolo schermo – ovviamente targata Netflix, come ti sbagli? – ma sarebbe inutile: non è colpa di una stupida serie scritta male, è proprio la fantascienza moderna ad essere un cesso intasato.
Volendo prenderci in giro, possiamo fingere che questa stupida buffonata di serie parli della prima missione umana verso Marte, con cinque astronauti etnicamente rappresentativi e socialmente accettabili, oltre che politicamente corretti e stereotipicamente luoghi comuni – tutti comunque guidati da un bianco, anche se donna – in viaggio verso il pianeta rosso per installare una base e impiantare colture. Questa è la trama di un totale di 12 o forse 13 minuti delle dieci ore di serie.
Se da “Away” togliessero Marte, l’astronave e lo spazio non cambierebbe nulla. Si tratta infatti di una demenziale serie che parla di ogni questione bollente sui social: l’amore omosessuale, la disabilità, la paternità, la maternità, il razzismo, il sessismo, le molestie sessuali, le pari opportunità… oh, ma che cazzo c’entra con Marte?
Quanto può essere credibile una protagonista che a milioni di chilometri dalla Terra soffre perché sente di non riuscire a trovare un equilibrio tra carriera e famiglia? Davvero? Stai andando su Marte e il tuo unico pensiero è che tua figlia non abbia voti alti a scuola? Senti che tuo marito, peraltro l’uomo più zuccherosamente innamorato della storia dell’umanità, non riesce a conciliare la propria nuova situazione disabile con la crescita di una figlia adolescente? Che begli argomenti, ma si torna alla mia domanda: che cazzo c’entra Marte?
E questa è la parte migliore del film, perché il resto è puro escremento lasciato al sole: sono felice che non esista una seconda stagione, sebbene la trama ne preveda almeno tre, perché vuol dire che gli spettatori di Netflix non sono così dementi come pensano gli autori di questa serie.
Quando arriva l’unica materia di cui il pubblico americano si interessa, cioè le molestie sessuali, c’è davvero da piangere. Un pilota (maschio indiano, e quindi con la barba) dice “ciao” alla capitana, questa si turba e non gli parla più. Esce fuori che lei non ricambia i sentimenti dell’uomo. Ma quali sentimenti? Ha detto “ciao”. Eh, ma con una faccia… Che faccia? La faccia di uno che dice “ciao”. Quindi ora anche dire “ciao” è molestia sessuale sul posto di lavoro? Non si sta un pochino esagerando?
In questa busta di letame lasciata scaldare al dolce sole del qualunquismo americano – in una procedura di macerazione diarroica chiamata “fantascienza moderna” – la dottoressa cinese Lu Wang (Vivian Wu) e l’ingegnere russo Popov (il mitico Mark Ivanir) nella prima e nella sesta puntata trovano un paio di minuti per giocare a scacchi.
Non ricordo una sceneggiatura scritta peggio di questa, e un prodotto più cialtronesco e obbrobriosamente scandaloso come “Away”, che purtroppo non è un’eccezione, non è un inciampo né un errore: è la fantascienza del nuovo millennio ad essere un fetente letamaio, semplicemente perché parla di tutto tranne che di fantascienza.
L.
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